Progetto Giulio Turcato ottobre 2017

LE ROVINE DI VARSAVIA
Giulio Turcato
a cura di Anna Nassisi

Progetto

Il progetto “le Rovine di Varsavia” ha come obiettivo la realizzazione di una esposizione del ciclo di opere di Giulio Turcato “Le Rovine di Varsavia” e intende essere un omaggio di un grande artista a una città martire Varsavia.

Nel settembre del 1939 la Polonia viene occupata dall’esercito di Hitler.. Per la Polonia furono anni di feroce repressione di cittadini inermi. Più di 2 milioni di ebrei polacchi furono sterminati nei campi di Treblinka e Aushwitz. La distruzione del Ghetto di Varsavia nel 1943 è una delle pagine più cupe dell’antisemitismo. L’insurrezione ,la prima rivolta ebraica contro il nazismo, ebbe inizio il 19 aprile del 1943 e prosegue tra atrocità afferate da parte tedesca sino al 24 maggio dello stesso anno. Si conclude con la totale distruzione del ghetto.
Solo un piccolo gruppo di ebrei tra i quali Marek Edelmann sopravvisse nascosto nelle fogne di Varsavia e si collega con i nuclei di resistenza presenti in città.
Il 1 agosto 1944 scoppia l’Insurrezione di Varsavia proclamata dalla resistenza clandestina polacca. La rivolta fu schiacciata e i Tedeschi, su ordine personale di Hitler radono al suolo Varsavia e distruggono la città.

E’ su questo tragico scenario che si affacciano gli occhi atterriti del mondo e di Turcato . Nel 1948 Turcato fa parte della delegazione di intellettuali italiani guidata da Emilio Sereni, tra i quali Quasimodo, Leoncillo, Natalia Ginzburg, Giulio Einaudi, Mario Socrate, Elio Vittorini Ernesto Treccani, Sibilla Aleramo, Sergio Solmi, Giuseppe Levi, Manlio Rossi Doria, Giorgio Caproni, Bianchi Bandinelli, che partecipano al 1 Congresso Internazionale degli Intellettuali per la Pace che si tenne dal 25 al 28 agosto del 1948 a Wroclaw in Polonia. Si riunirono in quella occasione 500 intellettuali di quarantacinque paesi. Tra i nomi più illustri il padre della fisica francese Joliot-Curie, Picasso che dipinge in quella occasione la famosa Colomba della Pace, Paul Eluard, Aragon, J.Amado, LeCorbusier, Lucaks, lo storico inglese A.J. Taylor, studiosi provenienti dal Giappone, dall’India, dall’Africa. Significativo il messaggio inviato ai convegnisti da Albert Einstein. Tutti mobilitati per strappare la società alla minaccia di una nuova spaventosa catastrofe.
Emilio Sereni figura chiave dell’ebraismo e della cultura non solo italiana ,intellettuale raffinato e storico dell’agricoltura guida la delegazione italiana al Congresso di Wroslaw il cui esito finale lungi dall’essere -secondo le premesse -un grande incontro di intellettuali per la pace diviene una legittimazione del ruolo dominante dell’URSS in politica e del realismo socialista nell’ambito della cultura.

A conclusione dei lavori tutti i delegati visitano Varsavia ,Cracovia e Auschwitz.
Particolarmente toccanti sono i bellissimi contributi di Sibilla Aleramo che tornata a Roma scrive in settembre 1948 un saggio e una poesia che di impareggiabile bellezza.
Appena in Italia Giulio Turcato tra il 1948 e 1952 produce un ciclo di 24 opere tra carte e tele alle quali dà il nome di Rovine di Varsavia o Rovine.

L’evento prevede l’esposizione di tale ciclo di opere , Le Rovine di Varsavia, e si terrà a Roma dal 6 marzo 2018 all’ 8 aprile 2018 negli spazi della Galleria Comunale di Arte Moderna di Roma,via Francesco Crispi n.24 .

Seguirà un convegno di riflessione sugli eventi del 1948 anno chiave per gli equilibri del mondo.
Il 14 maggio 1948 nasce lo Stato di Israele e si apre così un capitolo nuovo nella storia del mondo.La proposta di una riflessione sul complesso rapporto tra le vicende di Wroslaw e la nascita dello Stato di Israele potrebbe essere oggetto di una proposta da articolare successivamente.

Le opere, di uno straordinario impatto creativo collocano già Turcato fuori dall’Informale e documentano la relazione tra l’artista e il dramma di una città, di un popolo e della umanità tutta. L’esito visivo diviene elemento strutturale che moltiplica all’infinito la sorpresa della geometria e sviluppa un campo prolifico di simmetrie dense di emozioni che si innervano con la storia del mondo.

Giulio Turcato fissa le immagini sulle carte e sulle tele con un processo creativo intriso di esprit de géometrie, mentre la densa soggettività creativa traduce l’ambito storico specifico di una tragedia –la distruzione di Varsavia e il dramma dei campi- in messaggio universale. Le linee e i segni geometrici si innervano con una creatività che proietta l’artista in una dimensione spazio-temporale che solo l’arte e l’artista sono in grado di cogliere. Le opere,l’opera diviene nel suo esito visivo elemento che moltiplica all’infinito le simmetrie dense che nel colore e dal colore traggono alimento :idea,colore,luce pongono l’artista in una dimensione creativa identitaria che a partire dallo straordinario ciclo delle Rovine di Varsavia percorrerà l’intera sua intensa esistenza.

La mostra delle opere di Turcato sarà completata dalla esposizione di documenti e foto relativi al Congresso degli Intellettuali per la Pace di Wroslaw al quale partecipò l’artista nel 1948.

Il Progetto si articola in:

– Una mostra curata da Anna Nassisi che si terrà a Roma nella Galleria di Arte Moderna di via F. Crispi n.24 dal 6 marzo 2018 all’8 aprile 2018
– un convegno sul 1948 in una data da precisare che si potrebbe tenere nella sede dell’UCEI, Lungotevere Raffaello Sanzio n.9.
.
La mostra comprende .oltre alle opere di Giulio Turcato provenienti da importanti collezioni pubbliche e private ,le straordinarie fotografie di Zofia Chometowska, Leopold Sempolinki e Ewa Faryaszewska che documentano la tragica vicenda di Varsavia città martire
Le foto sono tutte parte del patrimonio fotografico degli Archivi Polacchi: l’Archivio dell’Ossolineum di Wroslaw, l’Archivio del Museo di Varsavia,l’Archivio di Atti Nuovi di Varsavia,l’Archivio di Stato di Wroslaw,il Museo dell’Insurrezione di Varsavia.

Il convegno da definire scientificamente dovrebbe documentare da un lato l’importanza di un primo incontro di cinquecento intellettuali di quarantacinque paesi e tra di essi Giulio Turcato, dall’altro la torsione in parte imprevista di un congresso come quello di Wroslaw dell’agosto 1948 che segna l’inizio della divisione dell’Europa in blocchi e l’avvio della guerra fredda con tutte le conseguenze che questo comportò sia per il mondo che per il popolo ebraico.
La Polonia diviene un paese occupato così come l’intera area dell’Est Europa.
Al temine del congresso le varie delegazioni furono portate a Varsavia distrutta e contribuirono alla ricostruzione della città.
Le opere di Giulio Turcato sono un monumentale omaggio a Varsavia-città martire
Il Museo Polin –il museo ebraico sorto nell’area del Ghetto- si è posto e continua a porsi l’obiettivo di ricucire la storia dell’ebraismo dell’est Europa. In occasione della presentazione della mostra si potrebbe prevedere la presenza del direttore del Museo stesso.

. Anna Nassisi

PROGETTO OTTOBRE 2017-

LE ROVINE DI VARSAVIA
Giulio Turcato
a cura di Anna Nassisi

Progetto

Il progetto “le Rovine di Varsavia” ha come obiettivo la realizzazione di una esposizione del ciclo di opere di Giulio Turcato “Le Rovine di Varsavia” e intende essere un omaggio di un grande artista a una città martire Varsavia.

Nel settembre del 1939 la Polonia viene occupata dall’esercito di Hitler.. Per la Polonia furono anni di feroce repressione di cittadini inermi. Più di 2 milioni di ebrei polacchi furono sterminati nei campi di Treblinka e Aushwitz. La distruzione del Ghetto di Varsavia nel 1943 è una delle pagine più cupe dell’antisemitismo. L’insurrezione ,la prima rivolta ebraica contro il nazismo, ebbe inizio il 19 aprile del 1943 e prosegue tra atrocità afferate da parte tedesca sino al 24 maggio dello stesso anno. Si conclude con la totale distruzione del ghetto.
Solo un piccolo gruppo di ebrei tra i quali Marek Edelmann sopravvisse nascosto nelle fogne di Varsavia e si collega con i nuclei di resistenza presenti in città.
Il 1 agosto 1944 scoppia l’Insurrezione di Varsavia proclamata dalla resistenza clandestina polacca. La rivolta fu schiacciata e i Tedeschi, su ordine personale di Hitler radono al suolo Varsavia e distruggono la città.

E’ su questo tragico scenario che si affacciano gli occhi atterriti del mondo e di Turcato . Nel 1948 Turcato fa parte della delegazione di intellettuali italiani guidata da Emilio Sereni, tra i quali Quasimodo, Leoncillo, Natalia Ginzburg, Giulio Einaudi, Mario Socrate, Elio Vittorini Ernesto Treccani, Sibilla Aleramo, Sergio Solmi, Giuseppe Levi, Manlio Rossi Doria, Giorgio Caproni, Bianchi Bandinelli, che partecipano al 1 Congresso Internazionale degli Intellettuali per la Pace che si tenne dal 25 al 28 agosto del 1948 a Wroclaw in Polonia. Si riunirono in quella occasione 500 intellettuali di quarantacinque paesi. Tra i nomi più illustri il padre della fisica francese Joliot-Curie, Picasso che dipinge in quella occasione la famosa Colomba della Pace, Paul Eluard, Aragon, J.Amado, LeCorbusier, Lucaks, lo storico inglese A.J. Taylor, studiosi provenienti dal Giappone, dall’India, dall’Africa. Significativo il messaggio inviato ai convegnisti da Albert Einstein. Tutti mobilitati per strappare la società alla minaccia di una nuova spaventosa catastrofe.
Emilio Sereni figura chiave dell’ebraismo e della cultura non solo italiana ,intellettuale raffinato e storico dell’agricoltura guida la delegazione italiana al Congresso di Wroslaw il cui esito finale lungi dall’essere -secondo le premesse -un grande incontro di intellettuali per la pace diviene una legittimazione del ruolo dominante dell’URSS in politica e del realismo socialista nell’ambito della cultura.

A conclusione dei lavori tutti i delegati visitano Varsavia ,Cracovia e Auschwitz.
Particolarmente toccanti sono i bellissimi contributi di Sibilla Aleramo che tornata a Roma scrive in settembre 1948 un saggio e una poesia che di impareggiabile bellezza.
Appena in Italia Giulio Turcato tra il 1948 e 1952 produce un ciclo di 24 opere tra carte e tele alle quali dà il nome di Rovine di Varsavia o Rovine.

L’evento prevede l’esposizione di tale ciclo di opere , Le Rovine di Varsavia, e si terrà a Roma dal 6 marzo 2018 all’ 8 aprile 2018 negli spazi della Galleria Comunale di Arte Moderna di Roma,via Francesco Crispi n.24 .

Seguirà un convegno di riflessione sugli eventi del 1948 anno chiave per gli equilibri del mondo.
Il 14 maggio 1948 nasce lo Stato di Israele e si apre così un capitolo nuovo nella storia del mondo.La proposta di una riflessione sul complesso rapporto tra le vicende di Wroslaw e la nascita dello Stato di Israele potrebbe essere oggetto di una proposta da articolare successivamente.

Le opere, di uno straordinario impatto creativo collocano già Turcato fuori dall’Informale e documentano la relazione tra l’artista e il dramma di una città, di un popolo e della umanità tutta. L’esito visivo diviene elemento strutturale che moltiplica all’infinito la sorpresa della geometria e sviluppa un campo prolifico di simmetrie dense di emozioni che si innervano con la storia del mondo.

Giulio Turcato fissa le immagini sulle carte e sulle tele con un processo creativo intriso di esprit de géometrie, mentre la densa soggettività creativa traduce l’ambito storico specifico di una tragedia –la distruzione di Varsavia e il dramma dei campi- in messaggio universale. Le linee e i segni geometrici si innervano con una creatività che proietta l’artista in una dimensione spazio-temporale che solo l’arte e l’artista sono in grado di cogliere. Le opere,l’opera diviene nel suo esito visivo elemento che moltiplica all’infinito le simmetrie dense che nel colore e dal colore traggono alimento :idea,colore,luce pongono l’artista in una dimensione creativa identitaria che a partire dallo straordinario ciclo delle Rovine di Varsavia percorrerà l’intera sua intensa esistenza.

La mostra delle opere di Turcato sarà completata dalla esposizione di documenti e foto relativi al Congresso degli Intellettuali per la Pace di Wroslaw al quale partecipò l’artista nel 1948.

Il Progetto si articola in:

– Una mostra curata da Anna Nassisi che si terrà a Roma nella Galleria di Arte Moderna di via F. Crispi n.24 dal 6 marzo 2018 all’8 aprile 2018
– un convegno sul 1948 in una data da precisare che si potrebbe tenere nella sede dell’UCEI, Lungotevere Raffaello Sanzio n.9.
.
La mostra comprende .oltre alle opere di Giulio Turcato provenienti da importanti collezioni pubbliche e private ,le straordinarie fotografie di Zofia Chometowska, Leopold Sempolinki e Ewa Faryaszewska che documentano la tragica vicenda di Varsavia città martire
Le foto sono tutte parte del patrimonio fotografico degli Archivi Polacchi: l’Archivio dell’Ossolineum di Wroslaw, l’Archivio del Museo di Varsavia,l’Archivio di Atti Nuovi di Varsavia,l’Archivio di Stato di Wroslaw,il Museo dell’Insurrezione di Varsavia.

Il convegno da definire scientificamente dovrebbe documentare da un lato l’importanza di un primo incontro di cinquecento intellettuali di quarantacinque paesi e tra di essi Giulio Turcato, dall’altro la torsione in parte imprevista di un congresso come quello di Wroslaw dell’agosto 1948 che segna l’inizio della divisione dell’Europa in blocchi e l’avvio della guerra fredda con tutte le conseguenze che questo comportò sia per il mondo che per il popolo ebraico.
La Polonia diviene un paese occupato così come l’intera area dell’Est Europa.
Al temine del congresso le varie delegazioni furono portate a Varsavia distrutta e contribuirono alla ricostruzione della città.
Le opere di Giulio Turcato sono un monumentale omaggio a Varsavia-città martire
Il Museo Polin –il museo ebraico sorto nell’area del Ghetto- si è posto e continua a porsi l’obiettivo di ricucire la storia dell’ebraismo dell’est Europa. In occasione della presentazione della mostra si potrebbe prevedere la presenza del direttore del Museo stesso.

. Anna Nassisi

NOTA BIOGRAFICA BREVE

GIULIO TURCATO (Mantova, 1912 – Roma, 1995)

Considerato fra i maggiori “astrattisti” del Novecento europeo, Giulio Turcato è tuttavia difficilmente classificabile ed inquadrabile in scuole o tendenze, per le caratteristiche profondamente originali e le cifre stilistiche assolutamente personali di tutta la sua produzione artistica. La sua formazione avviene a Venezia, dove frequenta il Ginnasio e la Scuola d’Arte, poi il Liceo Artistico e la Scuola Libera del Nudo. Comincia ad esporre nel ’32 in mostre collettive. Dal 1937 si sposta a Milano, dove lavora presso lo studio dell’Architetto Muzio, e in questa città nel ’39 tiene la sua prima mostra personale. Nel 1942-43 espone alla Biennale di Venezia. Nel ‘43 si trasferisce definitivamente a Roma, dove entra subito nel vivo delle polemiche artistiche, e partecipa anche alla Resistenza: la sua attività si lega infatti sempre strettamente all’impegno sociale e politico. Nel 1947 fonda il gruppo “Forma 1” con Accardi, Attardi, Consagra, Dorazio, Guerrini, Sanfilippo, firmando il manifesto del “Formalismo”, e nello stesso anno aderisce al “Fronte Nuovo delle Arti”, a cui partecipano anche Vedova, Santomaso, Guttuso, Leoncillo, Corpora, Morlotti, Birolli, Franchina, Fazzini, Pizzinato e Viani. Nel 1950 entra nel “Gruppo degli Otto”, promosso da Lionello Venturi, insieme ad Afro, Birolli, Corpora, Moreni, Morlotti, Santomaso, Vedova. Nel suo lavoro si evidenzia ben presto la ricerca attenta e profonda sulla natura e la qualità del colore e della luce, e sulla metamorfosi delle forme, insieme all’interesse per le scienze biologiche e fisiche, costante quanto il suo impegno sociale e politico. Gli anni ’50 lo vedono presente in molte mostre in Italia (a Venezia espone sempre, anche con sale personali, alla Biennale) e all’estero (Parigi, Germania), così come nei decenni successivi – ’60, ’70, ’80 – continuano le sue prestigiose esposizioni internazionali (New York, Kassel, Londra). Nel 1993 è presente nuovamente, per l’ultima volta, alla Biennale di Venezia, ospitato nella sezione intitolata “Opera Italiana”.

la forma del pensiero

Se togliamo all’opera il carattere di superficie dipinta e le restituiamo quello originario di composizione visibile, o di visione com-posta, risulterà chiaro quello che intende Ariela quando intende attribuire ai lavori qui in mostra il carattere di generatori di pensiero. Ariela chiama gli spettatori a entrare nell’ordine che è dato alle opere nello spazio espositivo e al tempo stesso nel reticolo segreto attraverso il quale le opere che occupano tale spazio si osservano a distanza e inter-agiscono. Tutto ciò diviene possibile solo attraverso la griglia di uno sguardo, di una attenzione, di un linguaggio. Soltanto nelle caselle bianche di tale quadrettatura le opere si manifestano come già presenti in silenziosa attesa di essere “guardate”. E’ in esso, nell’atto dello “sguardo” che lo spettatore scopre che vi sono possibilità infinite nel gioco di “visibile e invisibile”(v.Merleau-Ponty), quasi che scostandosi dagli ordini empirici che i suoi codici prescrivono, lo sguardo privasse  le opere della loro caratteristica originaria di essere solo contenuti in un contenitore-lo spazio espositivo- e cogliesse l’in-dicibile: le opere così si lasciano guardare e nel contempo attraversare: gli ordini possibili della visone diventano molteplici. Il gruppo di opere che fanno parte del nucleo finale della produzione dell’artista ben si collocano in tale frame ,in tale provocazione di opere neuroniche che vogliono stimolare,far crescere ,mettere in moto il carattere insieme fisico e emotivo dei neuroni del nostro pensiero.

  • Una creatività che sollecita e stimola nuova creatività: quella primigenia di Ariela artista e quella, connessa ad essa, dello spettatore che guarda le opere. I lavori collocati nello spazio espositivo ,ben lungi dall’essere contenuti di un contenitore, consentono mediante una progressiva osservazione,di svelare l’in-dicibile: le opere si lasciano guardare e nel contempo attraversare,gli ordini di formazione del pensiero diventano molteplici. Esiste quindi tra lo sguardo e il progetto installativo una ragione mediana che può essere definita esperienza “nuda” dell’ordine.
  • La nostra percezione si muove in questo spazio d’ordine e coglie le differenze crescenti dei diversi “punti di vista”. Lo spazio accoglie, si dilata interagisce con i molteplici segni impressi sul bronzo, sul vetro, sulla tela, nei video. Un dialogo muto tra spettatore e opera che vuole entrare nei meandri irriducibili al tempo della creazione dell’opera stessa. La struttura compositiva della mostra nasce da una archeologica ed insieme evocativa stratificazione del linguaggio e la superficie delle opere rimanda,nelle sue geometrie, a un incontro /confronto tra la ricerca di senso che l’artista cerca di mostrare con un uso molteplice di materiali ,una ricerca del suo proprio senso che nell’entrare nei meandri del pensiero creativo individuale incontra la memoria e la creatività del mondo. Come ben sottolinea Walter Benjamin in Angelus Novus :
  • ”la storia è oggetto di una costruzione il cui luogo non è costituito dal tempo omogeneo e vuoto,ma da quello riempito dall’”adesso”.Dove il passato è carico di questo esplosivo, la ricerca materialistica accosta la miccia al “continuum” della storia. Con questo procedimento essa ha in mente di far saltare fuori dal continuum l’epoca (e così fa saltare fuori dall’epoca la vita di un uomo e dall’opera di una vita un’opera). Il risultato di questo procedimento consiste in ciò, che nell’opera è conservata e custodita l’opera di una vita, nell’opera di una vita l’epoca, e nell’epoca l’intero decorso storico”… Il frutto nutriente di ciò che viene compreso storicamente ha al suo interno come seme prezioso(fecondo) …il tempo(p.74).
  • Le “orme” di Ariela (in “Recisione impossibile”) ci guidano in questo incontro /confronto. Pittura, scultura e scrittura sono componenti fondamentali del linguaggio dell’arte di Ariela. L’alfabeto di antichi linguaggi diviene forma-pensiero, forma del pensiero ,basamento sul quale l’archeologica traccia del tempo /epoca consente a noi contemporanei di comprendere l’adesso, il presente sia collettivo che individuale . E solo grazie a questo presente quale risulta dalla complessità di un passato/ memoria siamo in grado di ripercorrere a ritroso le epoche ,in  un gioco dialettico di presente-passato –presente-futuro.

Spazio storico e spazio emotivo si innestano in una dialettica che mediante il linguaggio dell’arte impone una riflessione sulle cesure tra le epoche e salvano l’umanità e l’uomo dall’orrore che l’Angelo della storia accoglie nei suoi occhi atterriti. Il passato non può essere un ammasso di macerie né può diventarlo grazie alla furia omicida di chi pensa che distruggere ciò che l’umanità ha prodotto nei secoli sia solo un impaccio del quale liberarsi: nelle ”opere del passato è conservata e custodita l’opera di una vita l’epoca, e nell’epoca l’intero decorso storico”.

Il pensiero che diviene forma è una possibilità che sgorga dai meandri neuronici fisici ed emotivi della creatività. Il processo di creazione dell’opera fa parte del reale e nello stesso tempo se ne distacca. L’opera ci provoca, richiama lo sguardo e vive in questo rispecchiamento la duplicità del sé e dell’altro nella sua pregnante estraneità.

Ma l’occhio umano ci suggerisce Ariela può e vuole spingersi aldilà dell’immagine visibile: è in esso, nell’atto dello sguardo, che lo spettatore scopre che vi sono infinite possibilità di andare aldilà del reticolo che avvolge la realtà, pietra dura, marmorea ma vera del ciclo Invito 1/12.

Acque Movimento e Acque Quiete IIII travolgono lo sguardo nel loro ritmo dinamico ,nel quale luce ,ombra e colore definiscono l’immensità sino alle vertigine di uno mare percorso da vortici e maestose onde che si aprono per accoglierci, travolgerci sino allo stordimento e poi liberare lentamente il tumulto del cuore finalmente acquietato.  Il percorso visivo tra le opere in catalogo ci conduce alla scrittura/scultura di pannelli di legno e terracotta Raku, All’alba della scrittura ,dove le antiche lingue del mondo, l’ebraico, il siriaco, l’ arabo e i  misteriosi segni cuneiformi ci invitano al cimento, forme archetipiche che inducono a cercare un terreno di confronto in un mondo che ha sospeso ogni forma di dialogo e confronto. L’opera di Ariela dal lunghissimo titolo che suggerisce già una risposta “Che la memoria di ciò che è stato si fonda con la materia che ospita il nostro pensiero” è quasi liberatoria. Si è così: la memoria “si fonda” e viene ospitata nel nostro pensiero che nello stesso momento riflette su di essa sia in quanto memoria che risulta dal sommarsi delle singole memorie degli uomini.

Con la grandiosa installazione Torre di Babele siamo ancora una volta di fronte alla presa di possesso della terra promessa e nello stesso tempo alla difficoltà di rompere vecchi e nuovi conflitti. Il linguaggio dell’arte di Ariela si carica di attese, di memoria, di sogno. L’opera è una unità geometrica , realizzata in ceramica Raku, mattoncini soprapposti che recano in rilievo le iscrizioni di lingue arcaiche, parzialmente velate con uno smalto metallico che riflette la luce del sole, ciascuno con un insieme di segni in rapporto tra loro mediante connessioni molteplici di forze-tensioni. La struttura aperta dell’opera si apre alla speranza di un linguaggio plurale che più che dannare l’uomo gli consente di confrontarsi con linguaggi diversi del vicino oriente. I figli di Sem sparsi per il mondo richiedono oggi un incontro che li sottragga al crollo titanico della biblica Torre. A una prima lettura ogni pannello-lettera è un elemento ,un singolo individuo/nazione  con la propria storia e la propria cultura. A una visione d’insieme la somma degli elementi diviene forma che trova una unità circolare quasi prismatica del molteplice. Una ricerca di equilibrio, di armonia leonardesca che viene incrinata da un Crollo. Un crollo inevitabile, irreparabile? No, sembra suggerire l’artista: è proprio tale disequilibrio permea di sé le ultime opere in mostra e nel contempo una ricerca di armonia: dove siamo, con chi interagiamo, è possibile adottare il linguaggio della misura, ritrovare l’armonia senza correre il rischio della dis-misura? L’avvolgente suggerimento neuronico di opere quali “Qualità del pensiero:risveglio”, “Qualità del pensiero:giorno”, “Qualità del pensiero:declino”, ”Esplosione”, ci dicono che solo il risveglio, la crescita intellettuale della nostra immaginazione può metterci al riparo dal declino, da un declino sia cognitivo individuale che da un declino storico dell’umanità.

 

Il lavoro di Ariela si confronta così con il mondo antico e nuovo, l’adesso, il presente e  il globale e ci parla di possibilità di ricostruzione del mondo, di declino individuale e collettivo, di tempeste del cuore e della mente e apre così al nostro futuro. L’opera per l’artista è una lettura individuale del reale che attraverso l’organizzazione di segni diviene linguaggio che parla a/e/di quel reale che rappresenta. E’ dal fondo della dilatazione semantica operata dalla dialettica delle interpretazioni che emerge il momento privilegiato del dettaglio ,vengono in luce connessioni inedite, possibilità interpretative del reale ,luce che si intravede dalla notte del tempo. L’artista va dentro alle cose, nelle pieghe della storia , svela le linee di frattura e con un atto conoscitivo inedito rende mediante l’ immagine /opera ciò che di nuovo la figurabilità, la rappresentabilità di quella soglia ,di quel crinale ,di quella linea di frattura  consente. L’artista Ariela con la sua potente capacità creativa ci fornisce una lettura del mondo pre-dittiva, ci svela la nascosta genealogia del significato.

Questa mostra per l’importanza anche numerica delle opere esposte consente a noi spettatori di poterci confrontare con l’articolato corpus del suo lavoro, dove accanto a pittura, scultura, incisione e lavori in terracotta Raku figurano con altrettanta forza video di intensa poeticità. E’ questa la lezione di estetica che l’artista ci offre. Ed è con questo spirito che ho cercato di ricostruire  in grandi linee il suo itinerario anche con opere che non appaiono in questa mostra –All’Alba della Scrittura, Torre di Babele-Crollo- – ma fanno parte del percorso dell’artista e visibili in catalogo.

 

Concludo con una citazione ripresa da un intervento di Ariela Böhm in un seminario tenutosi al Macro Testaccio di Roma sul tema della Genesi dell’opera d’arte ,da me organizzato. Scrive Ariela

il percorso creativo varia di volta in volta ma, generalmente, inizia con un’immagine, una visione poco definita che va precisandosi via via che la analizzo o, a volte, semplicemente man mano che passa il tempo. Ho parlato di immagine, ma può anche trattarsi di un’idea che non ha ancora una componente visiva o essere semplicemente una sensazione o un’emozione che voglio suscitare nell’osservatore… ma non ho ancora idea di come fare. La fase di definizione può anche essere molto lunga…., per poi sfociare in una fase “operativa”. Questa consiste essenzialmente nella progettazione, quindi definizione delle dimensioni, materiale, tecnica, aspetto finale dell’opera. Dal momento che i miei lavori non sono di tipo gestuale o istintivo generalmente richiedono un’accurata fase progettuale in cui affronto e tento di risolvere anche le eventuali difficoltà tecniche”.

L’artista nel suo percorso creativo non ha mai smesso di progettare. Il primo uomo, scrive Argan, ha costruito un progetto per l’avvenire da una esperienza passata. Dai minimi al massimo il comportamento storico si sviluppa in un arco temporale che va dall’esperienza al progetto: ciò che è oggetto nel presente è stato progetto nel passato ed è condizione dell’avvenire. G. C. Argan-Progetto e destino.

 

Anna Nassisi

Katrazyna Kobro foto

foto di Massimo Piersanti